Onorevoli Colleghi! - Ormai da anni si discute della necessità di varare un provvedimento di amnistia e di indulto al fine di offrire una prima e concreta risposta alla situazione delle carceri italiane, che ha raggiunto livelli drammatici. Sono sedici anni, peraltro, che in Italia non viene concesso un atto di clemenza. La revisione dell'articolo 79 della Costituzione, approvata nel 1992, prevede infatti che siano le Camere a concedere amnistia e indulto con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, sia nella votazione articolo per articolo, sia nella votazione finale.
      Un quorum davvero elevato, che ha reso impossibile, fino ad oggi, una larga intesa nelle Aule parlamentari e ne ha, nei fatti, impedito l'approvazione.
      La modifica dell'articolo 79 della Costituzione, con la corrispondente entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, si proponeva di restringere il ricorso ai menzionati istituti di clemenza e consentire l'applicazione dei riti alternativi previsti dal nuovo codice. Nel frattempo la situazione nelle carceri si è andata via via aggravando ed è divenuta allarmante. Una condizione denunciata dalle associazioni che da anni si occupano dei detenuti e nella quale, allo stato, appaiono a rischio gli stessi diritti civili e della persona previsti dalla nostra Costituzione.
      Il problema è sotto gli occhi di tutti: le carceri italiane sono al tracollo. I dati forniti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP), in questo senso, appaiono assai eloquenti: «a fronte di una

 

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capacità ricettiva regolamentare di 45.490 posti, si registra una presenza di detenuti di 60.483 unità, di cui 57.564 uomini e 2.919 donne, 44 delle quali ristrette con bimbi al seguito». Tra i detenuti, il 30 per cento è affetto da HIV, il 36 per cento da epatite B, il 27 per cento rischia la tubercolosi; 10 mila detenuti, inoltre, sono malati di epatite C.
      Ma non solo: mancano medici, assistenti, operatori sociali, psicologi, personale di servizio e, soprattutto, fondi, decurtati dal precedente Governo per oltre il 40 per cento.
      Il vertiginoso aumento della popolazione detenuta è dovuto, essenzialmente, a due normative: quella sugli stupefacenti (testo unico decreto del Presidente della Repubblica n. 390 del 1990) e quella sull'immigrazione (legge n. 189 del 2002, cosiddetta «Bossi-Fini»). L'amministrazione penitenziaria, infatti, riferisce che, dal 1998 ad oggi, il numero di detenuti per reati gravi (quali mafia, sequestri di persona, traffico di droga eccetera) risulta costantemente pari al 14 per cento del totale della popolazione carceraria, mentre aumenta in maniera esponenziale la presenza di imputati e di condannati per reati di droga e per reati legati all'immigrazione clandestina.
      Da un recente studio del DAP risulta che, degli oltre 60.000 detenuti presenti nelle carceri italiane, più della metà sono costituiti da persone provenienti dal mondo della tossicodipendenza e dall'immigrazione clandestina. La ricerca, dal titolo «Analisi statistica del sovraffollamento carcerario», del gennaio 2006, segnala che nel corso del 2005 si è registrato un aumento vertiginoso del numero di ingressi di soggetti per violazione del testo unico sugli stupefacenti (decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) e che attualmente i detenuti con condanne per violazione dell'articolo 73 del suddetto Testo unico sono circa 10.000, di cui 800 non hanno altre condanne a carico. Tra i condannati per l'articolo 73, circa il 47 per cento sono detenuti stranieri.
      E tutto ciò mentre ancora non sono entrate a pieno regime le norme recentemente approvate dal Parlamento (la legge n. 49 del 2006, cosiddetta «Fini-Giovanardi», varata in tutta fretta e «trainata» dal decreto-legge sulle Olimpiadi invernali n. 272 del 2005, che essa ha convertito in legge con modificazioni), norme che hanno ulteriormente inasprito le pene legate all'utilizzo di sostanze stupefacenti, praticamente abolito l'uso personale di droghe e depennato la differenza tra droghe pesanti e leggere, circostanze, queste, che avranno quale inevitabile conseguenza l'aumento esponenziale dei soggetti che conosceranno il carcere.
      «Altro fattore determinante di crescita della popolazione carceraria [continua la ricerca prima richiamata] è certamente costituito dall'applicazione delle norme del testo unico sull'immigrazione, come modificato dalla legge n. 189 del 2002 (Bossi-Fini)». Soltanto nel 2005, si è registrata nelle carceri italiane la presenza di 13.654 soggetti stranieri contro i 3.295 dell'anno precedente. «La gran parte degli ingressi in carcere per reati di cui al testo unico sull'immigrazione (84 per cento) è dovuta dalla violazione delle norme sull'espulsione [...]. Dei soggetti entrati in carcere perché non in regola con le disposizioni impartite in merito all'allontanamento dal territorio dello Stato, una buona parte (83 per cento, circa 10.000 persone) non ha commesso altri reati».
      Una situazione, quella descritta dall'Amministrazione penitenziaria, che evidenzia, dunque, quanto siano i deboli, gli emarginati, gli ultimi ad affollare le nostre carceri. La detenzione, infatti, riguarda i settori più marginali della società, una massa di soggetti senza diritti, tossicodipendenti e immigrati clandestini, che affolla le carceri senza alcuna prospettiva di reinserimento sociale.
      Su questi, inoltre, si è abbattuta la scure della cosiddetta «tolleranza zero» veicolata dall'approvazione della legge cosiddetta «ex Cirielli», (legge n. 251 del 2005), destinata ad aumentare il numero dei «disperati» nelle nostre carceri.
 

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      Tutti coloro che non potranno permettersi bravi e costosi avvocati, capaci di fare uso di ogni mezzo difensivo idoneo a consentire, ai fini della prescrizione, una più lunga durata del processo, verranno catalogati come «recidivi reiterati» e, in quanto tali, si vedranno attribuire un aumento obbligatorio di pena, a prescindere dalla gravità del reato commesso.
      Si tratta per lo più di tossicodipendenti, quasi sempre recidivi per il semplice fatto di non aver risolto il rapporto con le sostanze stupefacenti, e di immigrati clandestini, che, una volta colpiti dal decreto di espulsione, tentino di rientrare nel nostro Paese.
      È in questo quadro e per queste ragioni che un atto di amnistia e di indulto consentirebbe di ripartire dai più deboli e, nello stesso tempo, di conferire nuovo vigore e senso all'articolo 27 della Costituzione: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
      Nel corso della recente audizione presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati, il Ministro Mastella ha dichiarato che un indulto di due anni darebbe luogo alla scarcerazione di circa 10.481 persone, mentre l'effetto dell'amnistia consentirebbe una ulteriore riduzione del 20 per cento della popolazione carceraria. Questo, naturalmente, provocherebbe anche la contrazione di circa un terzo del carico di lavoro degli uffici giudiziari, sui quali, allo stato, gravano circa 10 milioni di procedimenti.
      È chiaro, dunque, che l'indulto da solo non consentirebbe una riduzione della popolazione carceraria entro i limiti della capienza effettiva ed è dunque per questo che si ravvisa la necessità che tale strumento sia accompagnato dalla concessione dell'amnistia.
      Peraltro, ridurre l'affollamento delle carceri consentirebbe anche, come recentemente stimato, di guadagnare due anni di tempo ai fini della pianificazione di una serie di interventi necessari per la ristrutturazione delle carceri e per renderle maggiormente vivibili.
      Certamente, a nostro giudizio, un atto di clemenza, comunque necessario e doveroso in un uno Stato di diritto quale il nostro, non può da solo risolvere una situazione che trae origine, anche e soprattutto, da una cattiva legislazione, che, in questi anni, ha puntato essenzialmente a un generale inasprimento delle pene, senza tuttavia essere accompagnata da un piano di recupero e di reinserimento sociale dei detenuti.
      Di qui la necessità di pianificare un programma di intervento che inverta completamente l'attuale situazione di cronica carenza di organico, un programma capace di incentivare la presenza di psicologi, medici, assistenti sociali e personale penitenziario, attivando anche istituti di pena alternativi che possano accompagnare il detenuto verso una nuova dimensione.
      Ma tutto questo deve ovviamente essere accompagnato anche dalla rapida revisione delle leggi che hanno portato nelle carceri masse di disperati a fronte di reati per i quali potrebbero applicarsi pene alternative o addirittura per i quali, in precedenza, la detenzione non era affatto prevista.
      Il Parlamento deve dunque porre mano immediatamente alla modifica della legge sulle droghe «Fini-Giovanardi», prima che questa esplichi i suoi effetti ancora più devastanti della normativa precedente; deve procedere a una rapida revisione della legge sull'immigrazione così come modificata dalla normativa introdotta dalla legge «Bossi-Fini», visto che il carcere non può costituire un argine all'immigrazione clandestina; infine, dovrà modificare le parti più ingiuste e inopportune della cosiddetta «legge ex-Cirielli», laddove la stessa inasprisce le pene per i recidivi, limita la concessione dei benefìci previsti dalla cosiddetta «legge Gozzini» (legge n. 354 del 1975), nonché tutte le previsioni migliorative apportate dalla cosiddetta legge «Simeoni-Saraceni» (legge n. 165 del 1998).
      Non meno importante, peraltro, appare una rapida revisione dell'articolo 79 della Costituzione nel senso di ridurre il quorum
 

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previsto per la concessione dell'amnistia e dell'indulto, resi fino ad oggi, per le esposte argomentazioni, del tutto inapplicabili.
      Da ultimo, il Parlamento dovrà dunque procedere a una rapida e profonda revisione del codice penale, dando luogo alla depenalizzazione alcuni reati, prevedendo pene alternative per taluni reati e riparative per altri.
      Un quadro dunque complesso, nel quale l'approvazione dell'amnistia e dell'indulto costituisce solo un primo e doveroso passo.
      La presente proposta di legge, pertanto, si propone di prevedere congiuntamente un provvedimento di amnistia e di indulto come unico strumento capace di incidere effettivamente sul sovraffollamento della popolazione carceraria.
      In linea con i provvedimenti varati negli anni precedenti, e in particolare con quello del 1990, per l'amnistia si è proceduto a un elenco dettagliato dei benefìci dell'amnistia stessa in relazione a una lista di reati con pene massime più elevate del limite massimo individuato in via generale in quattro anni (articolo 1). All'articolo 2 sono elencati i reati per i quali l'amnistia è comunque preclusa, individuando i reati cosiddetti «più odiosi», legati all'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975, recante ordinamento penitenziario, nonché gli altri reati così come nell'ultimo provvedimento di clemenza del 1990.
      L'articolo 3 limita la concessione dell'amnistia alla condizione che il condannato, nei cinque anni successivi alla concessione, dia prova di buona condotta e volontà di reinserimento sociale e non commetta delitti non colposi. Per quanto riguarda il computo della pena, si è voluto apertamente escludere, all'articolo 4, che sia calcolata la recidiva così come prevista dalla legge; questo per limitare gli effetti di quanto richiamato in ordine alla cosiddetta «ex-Cirielli» e includere nel provvedimento anche i recidivi.
      L'amnistia, comunque, è sempre rinunciabile (articolo 5).
      Per quanto riguarda l'indulto, è concesso nella misura non superiore a due anni e non si applica nei confronti delle pene irrogate in conseguenza di delitti di mafia, terrorismo, pedofilia e violenza sessuale (articoli 6 e 7).
      Anche l'indulto è sottoposto a precise condizioni, mentre esplicitamente i due istituti si applicano anche ai recidivi e ai delinquenti abituali o professionali in deroga all'articolo 151, quinto comma, del codice penale.
 

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